il Manifesto: La Prossima Rivoluzione dei Dannati Della Terra

LA PROSSIMA RIVOLUZIONE DEI DANNATI DELLA TERRA

di Richard Pithouse

L’African National Congress (Anc) è salito al potere nel 1994 grazie ad una delle più significative mobilitazioni popolari della storia recente e con massiccio consenso elettorale. Il partito era dominato da un’élite nazionalista e stalinista che mirava alla totale egemonia sulle forze progressiste, e quasi tutte le organizzazioni di base hanno rinunciato volontariamente alla propria autonomia in suo favore.

Il nuovo stato non ha abbandonato i poveri. Al contrario, ha cercato di contenerli. Confluite sotto l’autorità dell’Anc, ben presto le organizzazioni politiche di base sono diventate per i singoli un mezzo per fare carriera
nel partito, e per il partito un mezzo per controllare le comunità locali. Alla classe lavoratrice sindacalizzata sono state offerte nuove tutele, attraverso accordi di tipo corporativo. Ai poveri sono stati offerti sussidi a carattere sociale immediati e universali, e inoltre è stata loro promessa la progressiva «erogazione» di case e di servizi essenziali quali l’acqua, l’energia elettrica, i servizi igienici, la rimozione dei rifiuti. Ma questa «erogazione», caratterizzata da una forte disuguaglianza, era accompagnata dal progetto di risegregare le città in base alla classe e di far transitare i poveri in un sistema in cui questi servizi dovevano essere trasformati in merci.E molti di loro, semplicemente, non potevano permetterseli. I poveri hanno così scoperto che spesso, per loro, «sviluppo» significava essere sfrattati dalle baracche e dalle case popolari in cui vivevano, o vedersi tagliare la fornitura di acqua o di energia elettrica.

Nel 1998, dopo la morte per Aids di Simon Nkoli – l’attivista anti-apartheid e per i diritti dei gay che non poteva permettersi la terapia antiretrovirale – è nata la Treatment Action Campaign (Tac). Trasformatasi in un movimento di massa organizzato attorno a un nucleo professionale di Ong, questa organizzazione ha proposto all’Anc una critica leale della posizione di quel partito sull’Aids. Con la sua capacità di utilizzare un mix tra mobilitazione di massa, mezzi di informazione ad alto livello e strategie legali, la Treatment Action Campaign è riuscita a contrastare sia il tentativo delle case farmaceutiche di ricavare profitti dalla pandemia di Aids, sia il negazionismo e la ciarlataneria del governo di Thabo Mbeki. La Tac ha avuto inoltre un ruolo cruciale nella legittimazione di alcuni tipi di dissenso nei confronti dell’Anc.

La campagna contro gli sfratti Anti-Eviction Campaign (Aec) è nata all’inizio di questo secolo dalle lotte popolari contro gli sfratti, i tagli alle forniture di acqua e di energia elettrica, e le violenze della polizia a Cape
Town. Sin dall’inizio, l’Anti-Eviction Campaign ha mes-so in chiaro che i suoi organizzatori e leader sarebbero stati espressione delle comunità povere. La sua tattica, molto più che in qualunque altro movimento post-apartheid, si è basata su azioni di militanza diretta, come ad esempio far rientrare le persone sfrattate nelle loro case. Essa ha incluso azioni innovative di ogni tipo, miranti a scompaginare il sistema legale. Il movimento ha preso una posizione chiara contro la politica su base elettorale e propone invece la costruzione di un potere popolare.

Nello stesso periodo è nato a Johannesburg il Forum Anti-Privatizzazione (Anti-Privatisation Forum). Sviluppatosi a partire dalle lotte sindacali e degli universitari, l’Apf è un fronte allargato che, pur comprendendo una varietà di prospettive ideologiche, ha espresso la posizione più nettamente socialista tra i movimenti sociali post-apartheid. Dispone di personale e collaboratori retribuiti provenienti dai sindacati, dalle organizzazioni sul territorio, da organizzazioni studentesche e da piccole organizzazioni politiche, e lavora a stretto contatto con una serie di Ong della sinistra. È intervenuto contro
gli sfratti, contro il taglio dei servizi essenziali e contro l’installazione di misuratori prepagati per l’acqua attraverso la mobilitazione di massa, l’azione diretta e l’azione legale.

il movimento dei senzaterra

Poco più tardi, da una iniziativa di alcune Ong di sinistra attive sulla questione della terra, è nato il Landless People’s Movement (Movimento dei senza terra), che però tre anni dopo ha rotto con le Ong e da allora opera
autonomamente come movimento controllato dalla base. Nel 2004 il Landless People’s Movement ha scandalizzato l’Anc lanciando un boicottaggio elettorale con lo slogan No Land! No Vote! ed è stato oggetto di una forte repressione, ivi compresa la tortura di alcuni suoi militanti. Non è più in grado di operare a livello nazionale ma continua ad avere una presenza attiva in alcune baraccopoli attorno a Johannesburg.

Come l’Anti-Eviction Campaign di Cape Town, il Concerned Citizens Forum (Ccf) di Durban è nato anch’esso in risposta al taglio dei servizi essenziali e agli sfratti. A differenza dell’Anti-Eviction Campaign, il Concerned Citizens Forum è stato sostenuto e guidato da personalità di alto profilo, capaci di esercitare una influenza considerevole sulla sfera pubblica, e ha largamente mobilitato gli abitanti di due comunità nere povere di Durban che in precedenza avevano sostenuto i partiti pro-apartheid. Questo ha consentito al Concerned Citizens Forum di articolare un discorso militante di dissenso verso l’Anc. Il Ccf ha anche cercato di competere nelle elezioni amministrative, ma senza successo. I suoi leader della classe media, innovativi e carismatici, erano disposti a uno sconto frontale con lo stato ma si opponevano alla creazione di strutture democratiche che permettessero al movimento di svilupparsi, e di conseguenza il movimento ha avuto vita breve.

Nel 2004 l’iniziativa politica è andata decisamente alla classe popolare. In tutto il paese le comunità locali hanno cominciato a organizzare mobilitazioni con un ritmo impressionante. Diversamente da quanto era accaduto in quasi tutti i movimenti sociali di prima generazione, la maggioranza di queste proteste sono state organizzate senza alcuna influenza delle Ong o dei progetti politici di avanguardia. Secondo la polizia, tra il 2004 e il 2008 c’è stata una media di più di dieci proteste caratterizzate da «disordini». Queste proteste erano
solitamente guidate da giovani disoccupati, spesso organizzate nelle baraccopoli, e intendevano prendere di mira politici locali e leader di partito. La tattica principale è il blocco delle strade, ottenuto dando fuoco a copertoni.

Il sociologo di Johannesburg Peter Alexander solitamente definisce queste proteste «un massiccio movimento di proteste politiche locali militanti» ma lo stato, i media e la gran parte degli accademici le definiscono sempre «proteste per i servizi». L’operazione ideologica di etichettare la ribellione popolare in corso come una serie di «proteste per i servizi» è chiara. Permette allo stato, e ai suoi alleati nella società civile, di presentare le rivendicazioni contenute nella protesta popolare come una semplice richiesta di maggiore efficienza da parte del sistema attuale. In realtà queste proteste sono spesso fortemente critiche rispetto al modo, oltre che al ritmo, della «erogazione dei servizi» e spesso includono richieste esplicite di un sistema più partecipativo.

La maggior parte di queste proteste sono nate e morte molto rapidamente, ma prese nel loro insieme costituiscono un fenomeno consistente e in crescita, di portata nazionale. Un’importante eccezione rispetto alla tendenza generale di queste proteste a non sapere o volere autosostenersi si è verificata nella township di Khutsong. Qui il tentativo dello stato di imporre dall’alto l’arretramento dei confini provinciali per spostare la township dalla provincia più ricca, il Gauteng, nella provincia più povera del Nord Ovest, si è tradotto nello scontro più aspro tra popolazione e stato nel Sudafrica del opo-apartheid.

E a Durban, nel 2005, la protesta degli abitanti di una baraccopoli ha portato alla nascita del movimento organizzato Abahlali baseMjondolo (AbM). Sin dall’inizio il movimento ha rigettato tutte le forme di politica dall’alto ed ha sottolineato che i poveri sono in grado di pensare autonomamente le loro lotte. L’AbM vedeva con favore la partecipazione della classe media, ma solo a patto che questa fosse disposta ad operare attraverso le strutture democratiche del movimento, e non dall’alto.

Inizialmente l’AbM si era proposto come voce indipendente dentro l’Anc, chiedendo terra, case e servizi, e una pianificazione urbanistica partecipativa piuttosto che tecnocratica. Ma la portata della repressione subita ha costretto il movimento a una netta indipendenza dall’Anc. Esso ha sviluppato una politica culturale profondamente democratica e gentile, in un paese dominato dal machismo. Anche se l’AbM ha deciso di non seguire la via elettorale per fare politica, lo storico congolese Jacques Depelchin, che ha avuto l’opportunità di
trascorrere del tempo sia in Sudafrica che ad Haiti, sostiene che ci sono forti parallelismi tra l’AbM e il Fanmi Lavalas.

Nel 2006 L’AbM, insieme al Landless People’s Movement e alla Anti-Eviction Campaign ha organizzato un boicottaggio elettorale con lo slogan No Land! No House! No Vote! Il boicottaggio dell’AbM è risultato particolarmente efficace. Ma il boicottaggio più efficace, che ha raggiunto un astensionismo quasi totale – ricorrendo anche all’intimidazione – è stato quello del Khutsong.

In quello stesso anno, un gruppo interno all’Anc ha cominciato a lanciare una aggressiva campagna in favore dell’elezione di Jacob Zuma alla Presidenza del partito e del paese. Inizialmente questa campagna si era tradotta in un sostegno a Zuma nel corso del suo processo per stupro, che aveva assunto presto una forma apertamente sessista ed etnicamente sciovinista.

Nel maggio 2008 la piega verso una politica più ristretta di sciovinismo etnico e nazionale ha portato a una serie di pogrom popolari contro i migranti. Tutti i movimenti, in linea di principio, hanno preso posizione contro gli attacchi ma la Treatment Action Campaign ha svolto un compito particolarmente importante organizzando il lavoro di assistenza, e l’AbM è riuscita a impedire che avvenissero attacchi nelle aree sotto il suo controllo. L’Aec è stata più lenta ad assumere una iniziativa pratica decisiva, ma nei mesi e anni successivi agli attacchi si è impegnata costantemente per negoziare la risoluzione delle tensioni, specialmente sul tema del commercio.

le proteste non si fermano

Nel settembre 2008 l’Anc ha deposto Mbeki dalla presidenza ed ha nominato il vice presidente del partito, Kgalema Motlanthe, presidente ad interim fino alle elezioni politiche del 2009, dopo le quali sarebbe diventato presidente Zuma. L’Anc stava perdendo consensi elettorali, e prima delle elezioni ha cercato di smorzare le tensioni sociali più urgenti. Ha subito abbandonato il suo atteggiamento negazionista sull’Aids e ha cercato di trasformare l’antagonismo con la Tac in una alleanza. La township di Khutsong è stata reintegrata nella provincia del Gauteng, una scelta che ha messo fine a cinque anni di ribellione.

Con l’eccezione della Treatment Action Campaign, tutti i movimenti hanno boicottato le elezioni politiche nazionali. Ma questi boicottaggi hanno generalmente avuto molto meno successo di quelli relativi alle elezioni
amministrative. Comunque, pochi mesi dopo l’elezione di Zuma la protesta popolare ha raggiunto livelli record, e nel 2010 il tasso straordinariamente alto di manifestazioni di protesta è salito ancora. Alcune ricerche hanno
dimostrato che ci sono state più proteste nei primi sette mesi del governo Zuma, che negli ultimi tre anni del governo Mbeki.

Ma, con l’aumentare delle proteste, la repressione è diventata più dura. Il governo Zuma ha militarizzato la polizia, e nel settembre dell’anno scorso una folla armata ha attaccato i principali esponenti dell’AbM nella baraccopoli di Kennedy Road a Durban, scandendo slogan di contenuto etnico. Con il pieno ed esplicito sostegno della polizia e dei principali politici dell’Anc, la folla è riuscita a trascinare via dalla baraccopoli centinaia di persone. Due giorni dopo Haroon Bhorat, un professore di economia presso l’Università di Cape Town, ha informato il parlamento sudafricano che il Sudafrica aveva sorpassato il Brasile diventando «la società con la maggiore disuguaglianza al mondo».

L’AbM si è ripreso dagli attacchi, tanto che dal 2009 ha lanciato nove nuove sezioni. Nel marzo 2010 è riuscito anche a organizzare con successo una marcia di protesta contro Zuma nel centro di Durban, e resta il più grande movimento di poveri del paese. Ma per alcuni mesi i suoi processi democratici sono stati gravemente inficiati, e questo è stato un vero danno per il movimento. Non è ancora chiaro quali saranno le conseguenze a lungo termine.

In Sudafrica gli intellettuali nazionalisti hanno avuto la tendenza a considerare decisiva la questione terriera, mentre gli intellettuali socialisti hanno avuto la tendenza a considerare decisiva la lotta dei lavoratori nelle città. Ma in realtà è stata la lotta dei poveri nelle città, molti dei quali vivono in baracche e senza un lavoro stabile, a produrre la sfida popolare più forte e militante all’Anc e al suo tentativo di usare il partito come mezzo di controllo sociale dall’alto. Il fermento politico che sta crescendo tra i poveri delle città ha assunto molte forme: alcune progressiste, altre reazionarie. Probabilmente è qui che si deciderà il futuro del paese.